Introduzione
Sempre presente nell’alimentazione quotidiana, il latte è cibo quanto mai versatile. Può essere bevuto nella sua forma originaria, ma diventa anche panna, burro, formaggio, brótza (simile alla panna ma meno grassa), ricotta e, dopo la lavorazione per trasformarlo in burro e formaggio, siero per gli animali.
Inoltre la parte eccedente del latte e dei suoi derivati, rispetto alle necessità della famiglia, può essere venduta e contribuisce così al piccolo gruzzolo che consente di comprare quanto non può essere autoprodotto.
Lo bürro
Il burro si ottiene scremando la panna che si forma sulla superficie del latte, raccolto in una caldaia. La panna viene poi agitata in una zangola, in modo che le particelle di grasso, aggregandosi, si separino dal liquido residuo: il latticello.
Una volta tolto dalla zangola il burro viene lavato in acqua fredda, per eliminare eventuali tracce di latticello; poi è pressato fra due palette, per dargli una forma prismatica. Su una delle due sono incisi disegni, che rimarranno impressi sulla forma di burro.
Per la conservazione il burro viene chiarificato, cioè portato ad ebollizione per separare la parte grassa dalla caseina. Il burro chiarificato si conserva a lungo ed è più sano. Per questo è usato come rimedio per tanti malanni e , con un po’ di zucchero e noce moscata, come tettarella per i bambini.
La fontinha
Le mucche nel grande alpeggio sono numerose e la produzione di latte è notevole. A ogni mungitura si fanno tre/quattro fontine.
La mungitura coinvolge tutti: i grandi mungono, i piccoli puliscono e preparano le mammelle delle mucche per le mungitura (ammèttè), oppure fanno la spola fra la stalla e la grande caldaia, dove versano il latte appena munto (colà).
Qui, nel latte riportato a temperatura corporea sul fuoco del camino, viene versato il caglio (estratto dallo stomaco degli agnelli o dei vitelli) per farlo coagulare. Dopo circa mezz’ora il latte è rappreso, forma cioè la caià (cagliata). La caià viene rotta con la pocia ehcraméra, poi sminuzzata con la lira, riscaldata ancora e mescolata a lungo per ottenere lo prés (latte cagliato e sminuzzato).
Lo prés viene raccolto dalla caldaia con un telo (fada), in quantità pari a una intera forma alla volta, e posto nella feitouèra (forma di legno) in cui è pressato per far uscire gli ultimi residui di leità (siero).
La stagionatura richiede anch’essa molto lavoro: le fontine devono essere controllate quotidianamente, ripulite da eventuali muffe e salate.
Dopo circa tre mesi hanno raggiunto il giusto punto di maturazione e possono essere consumate.
La brótza è lo saratz (ricotta)
La brótza (brossa) è un derivato semiliquido del latte, che si ottiene raccogliendo la schiuma che si forma quando si scalda la leità (siero) residuo della lavorazione della fontina.
La polenta con la brótza è il pasto quotidiano di chi vive nei grandi alpeggi estivi, ma è molto apprezzata anche dagli abitanti del villaggio, quando la ricevono in dono dagli alpigiani che scendono a valle.
Scaldando ancora un po’ la leità si ottiene il saratz (ricotta), che si mangia fresca o si lascia affumicare accanto al camino.
Lo fromagio
Alla latteria del villaggio e nelle case si fanno per lo più burro e due tipi di formaggi: lo fromagio (toma), prodotto con il latte scremato e lo migrà (mezzograzzo), più simile alla fontina, fatto con latte scremato e latte intero in parti uguali.
La lavorazione è simile a quella della fontina: cambiano le forme (feitouèrè) dove viene messo lo prés (il latte cagliato e sminuzzato).
Le forme delle fontine sono più basse e più larghe, quelle dei formaggi più alte e più strette.
Il formaggio è parte integrante dell’alimentazione ed è presente sulla tavola a ogni pasto e in ogni casa.
La leità
La leità (siero), ultimo dono della versatilità del latte, è la parte liquida che rimane dopo aver tolto dalla caldaia lo prés (il latte cagliato e sminuzzato) .
Viene raccolto e dato da bere ai vitelli e ai maiali, magari con l’aggiunta di un poco di farina o di crusca.